“La Buona Scuola, facciamo crescere il paese”, il video messaggio di Renzi
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40 tappe di tour in tutta Italia. 2041 incontri a cui hanno partecipato parlamentari, studenti, insegnanti, dirigenti scolastici, oltre 1.750.000 persone che sono state raggiunte da questa consultazione, da questo dibattito, alcune on line, alcune fisicamente. Sono numeri di un incredibile risultato quello del dibattito intorno al futuro della scuola italiana.
E’ come se avessimo deciso di strappare la scuola dai soli addetti ai lavori. Della scuola non parla soltanto il segretario del sindacato Cobas di turno, della scuola devono occuparsi le famiglie, gli insegnanti, gli studenti, gli amministratori locali, le persone che hanno a cuore il futuro dell’Italia.
Questo è il punto chiave, ricordiamocelo.
Noi vediamo finalmente l’Italia tornare a crescere; quando abbiamo iniziato questo percorso i numeri erano diversi sempre il segno meno davanti, adesso c’è il segno più. L’Italia torna a crescere, ma non basta crescere di uno zero virgola, non basta avere finalmente in positivo i dati delle assunzioni se non costruisci la scommessa strategica del futuro.
L’Italia di domani non potrà essere migliore della scuola di oggi .
Allora bisogna investire sulla scuola come la più grande sfida che noi possiamo avere ed è una partita bellissima. Io ho sorriso quando ho visto qualcuno criticarci. “Vogliono trasformare la scuola in un’azienda, vogliono che il preside diventi l’amministratore delegato, il manager, vogliono i manager nella scuola”.
La scuola non è un’azienda, la scuola è una comunità. Il preside che si chiama dirigente scolastico non è il manager, il preside è il sindaco, è l’anima di questa comunità educante che è la scuola.
E quando noi diciamo che la scuola deve competere non significa che vogliamo fare l’uno contro l’altro armato, a cercare di far del male agli altri, non vogliamo che una scuola faccia meglio della scuola accanto, ma vogliamo che la scuola sia il luogo in cui un ragazzo può dare il meglio di sé, può dare il meglio di quello che vuole e può essere. Questa è la grandezza della scuola.
Allora oggi il Consiglio dei Ministri ha iniziato a discutere, chiuderà il testo nella riunione della prossima settimana, un disegno di legge molto serio, un disegno di legge su cui diciamo al Parlamento: ci avete detto che vogliamo far tutto noi. Bene, discutiamone, vi dimostriamo che noi non facciamo decreti legge, non facciamo provvedimenti d’urgenza, parliamo. Diamoci però dei tempi certi, non facciamo ostruzionismo non impieghiamo male il nostro tempo, discutiamo. E se qualcuno avrà delle idee migliori di quelle che abbiamo offerto sarà bellissimo potere cambiare idea insieme.
Le nostre due idee di fondo sono essenzialmente legate al concetto della autonomia e al concetto della qualità e al merito degli insegnanti e degli studenti.
Parto dalla prima: autonomia. Autonomia è una parola che ormai è usata e abusata nel dibattito studentesco. Probabilmente risale nella produzione normativa ai tempi della riforma Berlinguer. Di autonomia si è sempre parlato tanto e poi alla fine si è praticata un pò poco.
Abbiamo il coraggio di dire che autonomia significa scuola aperta. Una scuola aperta, una scuola aperta al territorio. Perché può essere che in quel comune, in quel pezzo di città, in quel quartiere, in quella periferia, c’è bisogno di una scuola che abbia delle caratteristiche diverse da quella del centro storico, che al nord ci sia bisogno di una scuola diversa da quella del sud. Autonomia, rapporto con il territorio, scuola aperta al territorio. Scuola aperta al futuro, una scuola curiosa.
Oggi i ragazzi non hanno bisogno della scuola per imparare un elenco di cose, gli basta uno smartphone, gli basta un telefonino per imparare o conoscere le cose; ma per imparare ad essere curiosi, ad avere passione, ad educarsi al meglio hanno bisogno della scuola e di insegnanti che siano innanzitutto appassionati. E allora per far questo c’è bisogno di una scuola aperta al talento, aperta al merito, una scuola aperta anche di pomeriggio; una scuola che smetta con le classi pollaio che ha avuto sino ad oggi e che sia invece in grado di garantire al preside, cioè al dirigente scolastico, cioè al sindaco di questa comunità educante, che cosa? La possibilità di scegliere, di scegliersi la squadra; ecco perché è fondamentale che innanzitutto ci siano più professori delle singole cattedre, perché magari ci sarà bisogno di un professore che aiuta il Preside nei progetti formativi, nei progetti teatrali, nell’insegnamento dello sport, nella storia dell’arte, nell’investimento sulle grandi scelte che la singola scuola deve fare. E ci sarà bisogno di una squadra di professori in grado di evitare il solito richiamo alla “supplentite”.
Oggi per scegliere un supplente vanno via ore e ore di procedure burocratiche, complicate graduatorie. Noi mettiamo un gruppo di professori a disposizione del preside, e il preside, naturalmente con tutti gli indirizzi del collegio dei docenti, di tutte le strutture degli organi collegiali, va a individuare quali sono le personalità più adatte a cambiare la scuola.
Ecco perché autonomia significa investimento nel futuro.
Dall’altro lato c’è il grande tema della qualità, la qualità dei nostri studenti, la qualità dei nostri professori.
Oggi arrivare a fare il professore è il culmine di una frustrante attesa dentro le graduatorie a esaurimento, che sono graduatorie a esaurimento nervoso, di solito di chi ci sta dentro; graduatorie lunghe, anni e anni e anni: uno arriva in cattedra che ha già l’età della pensione, manca poco.
Un meccanismo frustrante, frutto di cattiva politica ed anche di cattivo sindacato; si è insistito a assumere senza avere magari i numeri giusti; ecco che sarà fondamentale per noi assumere con “la buona scuola” oltre 100.000 persone. mettendole dentro un modello di insegnamento e di organizzazione della scuola che sia il più possibile aperto alla scuola digitale, il più semplice ma anche contemporaneamente il più aperto alla curiosità e al futuro possibile.
All’insegnante viene chiesto di mettersi in gioco; noi diciamo basta ai precari nella scuola; coloro i quali hanno diritto perché hanno vinto il concorso o stanno nelle graduatorie a esaurimento, saranno assunti all’interno della scuola, ma contemporaneamente diciamo a loro: ” Non abbiate paura di essere valutati, di far vedere la vostra qualità, di mettere in gioco il merito nella vostra valutazione”.
Una parte sarà ancora collegata all’anzianità. Ma per guadagnare più soldi non basta semplicemente aspettare semplicemente di diventare più anziani, ci sarà la possibilità di investire in scatti anche economici, prima sulla base di criteri di valutazione; e così come saranno valutati gli insegnanti dovranno essere valutati i presidi, cioè i dirigenti scolastici.
Queste sono le due caratteristiche, mai più supplenti, i supplenti devono essere dentro una squadra di professori che si chiama “organico funzionale”.
Mai più precari; non ne possiamo più di avere dei professori che entrano in cattedra già stancati da un’attesa frustrante e ingiusta, ma contemporaneamente grande investimento nel ragazzo.
E allora su questo il disegno di legge de “la buona scuola” comprende anche l’alternanza scuola -lavoro, la faremo meglio che in Germania; il nostro modello sono i tedeschi ma vogliamo fare meglio di loro; la scuola digitale, il piano educativo zero-sei, vale a dire per i nostri concittadini più piccoli, e ancora un grande investimento sull’edilizia scolastica, sulla capacità una volta per tutte della scuola italiana di aprirsi anche a materie nuove nel rispetto della singola autonomia e più in generale a un grande gigantesco investimento nel capitale umano.
Il 10 marzo, martedì prossimo, nuovo Consiglio dei Ministri: il disegno di legge diventa ufficialmente votato e quindi da quel momento inizierà lo scoccare dei giorni per arrivare al primo settembre, all’assunzione di tutti coloro i quali dovranno essere assunti quest’anno. Ancora per il fabbisogno che abbiamo registrato ci sono alcune classi di concorso che hanno bisogno di supplenze, mi riferisco in particolar modo ai 2500 insegnanti di matematica, ai 745 insegnanti della classe 43 vale a dire lettere alle medie, a qualche insegnante di lingua non soltanto inglese ma anche altre lingue quindi una parte ancora nel 2015 dovrà essere assunta attraverso il vecchio sistema dei supplenti, assunta a tempo determinato. Ma dal 2016 nella scuola pubblica si entrerà soltanto attraverso concorso e, questo sarà importante, alcuni accorgimenti di natura fiscale permetteranno ai presidi, cioè ai sindaci delle scuole, di poter gestire meglio i denari. Come? Attraverso la possibilità, per le famiglie non di dare contributo volontario, che poi tanto volontario non è perché diventa obbligatorio, ma attraverso la possibilità di firmare nella dichiarazione dei redditi il 5 per mille come accade già per le associazioni di volontariato. Per farlo le singole scuole dovranno essere trasparenti. Online dovranno essere messi tutti i dati dell’edilizia scolastica, tutti i dati della scuola, il bilancio della scuola e anche le esperienze dei professori. Di che cosa dobbiamo aver paura? Trasparenza totale. Open data a 360 gradi. Ma questo meccanismo porta a una rivoluzione, quella per cui la scuola non è più un marchingegno burocratico, è il cuore pulsante di una città e quindi di un paese.
“La buona scuola” è finalmente un atto discusso in Consiglio dei Ministri. Io sono molto emozionato perché attraverso “la buona scuola” noi possiamo immaginare come sarà l’Italia dei nostri figli. E io credo che per chi lavora nella scuola non ci sia responsabilità più grande: quella di concorrere alla libertà educativa dei nostri ragazzi. Tremano le mani nel firmare dunque quest’atto. Lo facciamo dopo un percorso di consultazione e lo facciamo offrendo al Parlamento la possibilità di migliorarlo, impreziosirlo, arricchirlo. Ma quello che deve essere chiaro è che stiamo mantenendo l’impegno. Avevamo detto no a super rivoluzioni riformatrici delle riforme e delle controriforme. Un impegno chiaro perché la scuola torni a essere il motore di tutto. E con queste proposte finalmente passiamo dalle parole ai fatti.