Passo dopo passo, cambiamo l’Italia
Mille giorni sono il tempo che ci diamo per rendere l’Italia più semplice, più coraggiosa, più competitiva. Dunque, più bella.
Rendere l’Italia più bella? Impossibile, si potrebbe pensare. È già il Paese più bello del mondo. Vero. Ma noi pensiamo che in questi anni l’Italia abbia spesso vissuto di rendita. Non è stata solo colpa della politica, ma della classe dirigente intesa in senso ampio. Tuttavia, il tempo della rendita è finito. Chi si illude di poter continuare a ignorare questo elemento condanna il Paese all’irrilevanza. Ecco perché quelle che vengono chiamate riforme strutturali devono essere fatte. Non perché ce lo chiede l’Europa. Ma perché sono l’unica possibilità per l’Italia.
Il nostro Governo è nato per fare quello che per troppo tempo è stato solo discusso o rinviato. Impresa ambiziosa, certo. Ma siamo qui per questo. Una sfida difficile, come solo le sfide affascinanti possono esserlo. Ma questa è la nostra sfida e noi l’affrontiamo con il coraggio e la leggerezza di chi sa che l’Italia è più grande delle resistenze dei piccoli centri di potere. La speranza che gli italiani ci hanno affidato è più grande dei consueti cori di chi dice “Non ce la farete, non si può fare”. La certezza della forza di questo Paese, dei suoi piccoli imprenditori e delle sue maestre elementari, dei suoi ingegneri e dei suoi artisti, dei suoi studenti e dei suoi nonni è per noi un caposaldo irrinunciabile.
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L’Italia ha tutte le condizioni per tornare a essere ciò che è sempre stato: un Paese che anticipa il futuro, che costruisce innovazione, che alimenta la speranza.
Se vogliamo tornare a essere quello che siamo sempre stati, paradossalmente, bisogna cambiare.
Cambiare alla radice, a partire dalle nostre istituzioni che non a caso sono attraversate dalla più rilevante modifica costituzionale mai affrontata nella vita repubblicana. Cambiare non per il gusto di farlo ma per mettersi di nuovo in sintonia con un mondo che viaggia a una velocità incredibile fino a qualche anno fa. Un mondo che tuttavia apre nuovi spazi per l’Italia. La retorica di chi dice che la globalizzazione taglia fuori il nostro Paese si scontra con la realtà: quasi un miliardo di nuovi consumatori globali chiedono più bellezza, dunque più Italia. Ma noi dobbiamo giocare all’attacco, non in difesa. Scegliere il coraggio, non la paura. Questo è il nostro orizzonte: un mondo che chiede più Italia, un’Italia che si presenta libera dalle pastoie burocratiche e dal potere di rendita dei soliti noti. L’Italia che finalmente fa le riforme, dopo averle ossessivamente discusse (e rinviate) per anni.
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Non siamo malati di riformite. Noi pensiamo che il cambiamento non passi semplicemente dalle leggi, ma dalle concrete esperienze personali.
Dunque la vera sfida ce la giochiamo in mezzo alla gente, tra le persone, nelle scuole e nei laboratori di ricerca, nelle fabbriche e nei luoghi del made in Italy. Ma ce la giochiamo anche in Parlamento. Il nostro obiettivo è rendere più semplice la cornice istituzionale, la giustizia, le regole sul lavoro, la pubblica amministrazione, il rapporto tra Governo centrale e territorio. Per farlo occorre un lavoro paziente e delicato: rivoluzionario negli obiettivi, tenace nella quotidianità.
Qui il senso dei prossimi mille giorni.
Nei sei mesi appena trascorsi abbiamo rispettato scrupolosamente un cronoprogramma che sembrava impossibile. Avviati i cantieri di riforma elettorale, costituzionale, istituzionale. Approvati i primi decreti – e disegni di legge delega – su lavoro, giustizia, pubblica amministrazione. Attuati i primi passi sulla delega fiscale. Cominciata la riduzione delle tasse per la prima volta nella storia italiana con il sostegno al ceto medio attraverso il bonus degli 80 euro. Noi pensiamo che si tratti di un disegno organico rivoluzionario: mentre c’è chi pensa che in tempi di crisi dobbiamo ridurre il salario ai lavoratori, noi abbiamo scelto la strada opposta. Per noi è sbagliata l’idea di chi dice: facciamo a meno ciò che fanno tutti. Con questa impostazione, ci sarà sempre qualcuno più competitivo di noi al ribasso. Noi vogliamo scommettere sulle qualità italiane, facendo meglio degli altri prodotti di alta qualità. Lì sta il valore della scommessa italiana. Ecco perché abbiamo abbassato le tasse per dare più soldi in busta paga ai lavoratori. Ecco perché abbiamo abbassato l’Irap. Ecco perché vogliamo riportare la tassazione italiana sulla media europea attraverso il processo di revisione della spesa pubblica.
Ma ciò che abbiamo fatto nei primi sei mesi costituisce il punto di riferimento per ciò che faremo nei prossimi mille giorni: noi non possiamo accontentarci di finte riforme. Guardiamo negli occhi tutti, ma non guardiamo in faccia nessuno. Se l’Italia deve cambiare, nessuno può chiamarsi fuori. Nessuno può tirarsi indietro. Vale per tutti i settori. La dimostrazione più bella l’hanno data quei senatori che hanno votato per un provvedimento storico di superamento del bicameralismo perfetto nonostante fosse per ovvi motivi la cosa più difficile da fare. Il loro impegno ha riscattato la politica: se cambiano persino i politici, non ci sono più alibi per gli altri.
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In questa cornice la sfida europea deve cambiare approccio. L’Italia ha creato l’Europa. L’ha difesa quando non andava di moda. L’ha sostenuta. In termini economici ha sempre dato più di quello che ha ricevuto. Perché noi non stiamo in Europa per un vantaggio economico: condividiamo dei valori civili prima che dei valori finanziari. Ecco perché l’Italia vuole un’Europa più presente nello scacchiere mondiale. E vuole un’Europa che sia più attenta a ciò che accade nel Mediterraneo. Ma questa Europa che condividiamo non è solo spread e indici economici, parametri e moneta unica. È innanzitutto dignità dell’uomo, cultura, libertà. Dobbiamo smetterla di guardare all’Europa come al luogo nel quale andiamo a chiedere di essere salvati. L’Italia ha sempre dato all’Europa più di quanto ha preso. E ancora negli ultimi difficili mesi l’Italia ha partecipato ai fondi SalvaStati dalla parte di chi ha pagato, non dalla parte di chi ha riscosso. Questo deve essere chiaro. Esiste in Italia una cantilena noiosa che non riconosce al nostro Paese il proprio ruolo: quello di essere leader, non follower. L’Italia non è un insieme di debolezze, ma un grande Paese. Il risultato delle elezioni europee consegna un’autorevolezza che in questi mille giorni dovrà essere confermata a partire dal banco di prova degli investimenti annunciati dalla nuova Commissione, oggettivo elemento di cambiamento inedito e insperato solo fino a qualche mese fa.
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L’Italia dei prossimi decenni sarà come la faremo oggi, a cominciare dagli asili nido e dalla scuola. I mille giorni sono una occasione ghiotta per la politica: dimostrare che le riforme si possono fare. Questo è il Paese che è apparso sulla scena internazionale come il Paese dei veti. Dei no, non si può. Delle lungaggini e delle procedure. Al termine di questo periodo avremo un Paese più coraggioso, più semplice, più competitivo. E dunque una politica più credibile. È un lavoro che richiede lo spirito del maratoneta, più che la velocità dello sprinter. Ecco perché abbiamo scelto la logica del passo dopo passo. Conosciamo la direzione. Abbiamo la macchina giusta. Il serbatoio del consenso popolare è tale da non prevedere soste ai box. Passo dopo passo riporteremo l’Italia al suo posto. A guidare l’Europa del coraggio, non a inseguire i fantasmi della paura.